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VIZI PRIVATI, PUBBLICHE VIRTU'
(PRIVATNI PROCI, URLINE JAUNE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 settembre 1976
 
di Miklós Jancsó, con Lajos Balászovits, Pamela Villoresi, Franco Branciaroli, Teresa Ann Savoy, Laura Betti (Ungheria - Italia, 1976)
C'è un'ottica dei festival. E c'è, durante il resto dell'anno, il cinema che ci meritiamo. Questo provoca delle curiose reazioni, per cui non si diffiderà mai abbastanza dei giudizi espressi durante quelle indigestioni di celluloide. VIZI PRIVATI è un esempio tipico. A Cannes, nel maggio scorso, si disse, “sì è, un Jancso, ma è un Jancso minore”. E a Lugano, in settembre: “sì è minore, ma è pur sempre un Jancso”. Morale: andate pure a vederlo.

Le due stellette sono un omaggio ad uno dei più grandi scrittori di lingua cinematografica che il cinema abbia mai avuto. Ed a uno dei suoi uomini più coerentemente impegnati. Ed, al principio, forse discutibile, che è più interessante il lavoro mancato di un grande regista, che l'opera più dignitosa di un mesteriante. L'avete compreso, VIZI PRIVATIè l'ombra delle grandi opere di Jancso. E' ancora uno splendido involucro; ma quel che c'è dentro sa un tantino di stantio.

Quando si parla di Jancso si parla sempre dell'involucro. Che il regista ungherese sia uno sbalorditivo creatore di immagini è risaputo. Il bianco e nero dei suoi capolavori degli anni sessanta ( I DISPERATI DI SANDOR, L'ARMATA A CAVALLO, SILENZIO E GRIDA, AH CA IRA, SCIROCCO ROSSO, fino a SALMO ROSSO che è del 1972) rimarrà nella storia del cinema. Ma non solo per la sapienza immensa dei movimenti di macchina, per l'arte del montaggio, per la scelta essenziale delle inquadrature, per la drammatizzazione estrema che Jancso ha ottenuto da questo uso dell'immagine. Piuttosto, per la logica perfetta, per la giustificazione ideologica inappuntabile, che sempre ha legato quest'arte figurativa ai motivi che l'hanno ispirata.

Profondamente impregnato nella tradizione storica, artistica e morale ungherese, il cinema di Jancso si è vieppiù fuso con i riti, i canti, le danze di quel paese. Fino a giungere a quel capolavoro di osmosi che è SALMO ROSSO.

La ricchezza dello stile di Jancso, la sua facilità creatrice avrebbero potuto portare la sua opera ad un puro esercizio di sapienza stilistica. E' proprio quella radice profonda nella cultura del proprio paese che lo ha salvato dal formalismo: coerente, rigoroso all'estremo, sempre innovatore tormentato, Jancso è così diventato uno degli uomini di cinema che maggiormente ha saputo meditare sul potere e sulla sua degenerazione. Nell'opera del grande ungherese, la riflessione sulla oppressione di ogni tipo raggiunge la tragedia in una dimensione di quasi astratta sublimazione.

Dopo SALMO ROSSO Jancso si è volontariamente espatriato. E si è così allontanato da quegli umori tradizionali.

Certo, anche in VIZI PRIVATI si tratta del potere. Rifacimento assai libero della vicenda di Mayerling, il film narra in un tono volutamente fantastico, da operetta quasi, come si possa usare lo scandalo per non assumere il potere. L'erede al trono austro-ungarico usa l'arma della liberazione sessuale per rifiutare la successione, per negare l'ordine costituito, per distruggere le istituzioni. E' una strada seducente, ma pericolosa ed ambigua come tutte quelle che usano il nudo, l'erotismo o la pornografia. Tutte cose che, lo si voglia o non, perdono ogni giorno che passa molto del loro potere dissacratorio.

Sradicato dal proprio ambiente, confrontato con una tematica non sappiamo quanto motivata, il grande cinema Jancso sfocia dove non avrebbe mai dovuto sfociare, nell'estetismo. Le belle immagini, i movimenti della cinepresa diventano inutili fronzoli decorativi. Il rigore austero delle prime opere, la mirabile fusione degli elementi espressivi del periodo della maturità si trasformano in un simbolismo fasullo, che ricorda i momenti peggiori di Fellini o di Ken Russell.

Certo, rimangono delle rovine gloriose: il finale crudele e asciutto, degno dei grandi momenti del passato. E' l'avvio, impregnato di genuina sensualità, di rara bellezza. Ma sono soltanto belle immagini: il discorso di Jancso, quello spirituale, era ben altro.


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